Filippo Panseca e Bettino Craxi
Filippo Panseca, Bettino Craxi e hostess del XLV congresso del PSI, con abito a garofani disegnato da Trussardi. Foto per gentile concessione di Alberto Peruzzo Editore.

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Italia

Dalle discoteche al PSI: storia dell'artista che ha progettato un pezzo di Italia anni '80

Con Bettino Craxi e l'artista Filippo Panseca, negli anni Ottanta la politica italiana usciva dalle aule ed entrava nelle discoteche.

Milano da bere è un fortunato spot pubblicitario datato 1985 prodotto per la ditta Ramazzotti, celebre per l’omonimo amaro alle erbe. La prima architettura iconica d’Italia, un grattacielo a forma di bottiglia, emerge dallo skyline di Milano all’imbrunire. L’aperitivo segna la soglia tra il vecchio lavoro diurno negli uffici della Milano industriale e i frenetici ritmi notturni dei nuovi luoghi degli affari. La città comincia ad assumere un’inedita configurazione che mai più avrebbe abbandonato.

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Uno di questi luoghi d’affari è la discoteca Vogue, affacciata su corso Buenos Aires. Al proprietario Danilo Arlenghi piace pensarla come una “casa” per i propri clienti, e dona loro copie delle chiavi. La prima copia è di Bettino Craxi, presidente del consiglio, la seconda di Carlo Tognoli, sindaco socialista di Milano, la terza è di Giorgio Armani. Costruttori, presentatori, attori, modelle, stilisti e vallette stringono mani, bevono bottiglie che a dire di Arlenghi costano come lo stipendio d’un operaio, e soprattutto decidono le sorti del mercato della moda, del mercato immobiliare e delle espansioni urbanistiche cittadine.

Il trend è quello iniziato dieci anni prima, in quell’età d’oro della club culture per Milano a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. A fine anni Sessanta, dopo un flirt con Brigitte Bardot a Saint Tropez, il celebre playboy Gigi Rizzi aveva deciso di aprire un locale sul modello Côte d'Azur a Milano: il Number One in zona Brera.

Otto anni dopo sarebbe stato il turno di un altro club, col nome internazionalmente conosciuto dello Studio 54 e un committente come Lello Liguori—in quegli anni conosciuto con il soprannome di “Grande Gatsby dalla riviera Ligure” e sicuramente anche della Milano socialista, vista la grande amicizia che lo legava a Bettino Craxi (amicizia che per sua stessa ammissione pagherà cara: “Ho avuto 11 processi, ma mi hanno assolto”).

Il progetto dei due club—insieme a quello del Covo di Nord Est tra Santa Margherita Ligure e Portofino, sempre di Liguori—viene affidato per la prima volta non a un architetto, non a un progettista, ma a un artista: Filippo Panseca, amico del critico d’arte Pierre Restany, di Mimmo Rotella, Lucio Fontana, Dova, Crippa e in contatto diretto con gallerie universalmente riconosciute come Leo Castelli a New York.

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È un momento storico per la notte milanese, in cui i club si affermano come parte integrante della vita sociale e culturale della città, tanto da venire pubblicati ormai abitualmente su riviste di architettura e design di fama internazionale. Questo è anche il caso del progetto di Panseca per lo Studio 54, le cui foto dell’inaugurazione escono nel 1981 sulla rivista Modo, allora diretta da un personaggio centrale per la cultura architettonica dell’epoca come Franco Raggi.

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Inaugurazione dello Studio 54 a Milano, 1981. Foto di Franco Raggi per Modo, tratta da L'arte segna il tempo - Il tempo segna l'arte (pag. 107), per gentile concessione di Alberto Peruzzo Editore.

Sulla scia di una progressiva internazionalizzazione, in quegli anni nasce forse il più iconico di tutti i club milanesi: il Plastic, al civico 120 di viale Umbria, da un’idea di Lino Nisi e Nicola Guiducci. È il 1980, e sotto l’insegna Killer Plastic O si possono trovare clienti abituali che forse al mondo solo l’originale Studio 54 newyorkese ha avuto: Warhol, Freddie Mercury, Madonna, Prince, Bruce Springsteen, Elton John, o la coppia Jean Paul Goude e Grace Jones, i quali dichiarano che per ballare al Plastic prenotavano di sovente aerei privati da Londra.

Da questi locali ai party nel celeberrimo attico di Bettino Craxi in viale Coni Zugna il passo è veramente breve—breve quanto un viaggio in taxi con il ministro Gianni De Michelis da un club in chiusura a un after epico, più simile a un pool party di Jean Pigozzi che a un consesso di politici e intellettuali.

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Questa evoluzione avviene in parallelo con la metamorfosi politica e morale in atto nel PSI di Craxi. Come disse Serra in un celebre articolo dell’epoca sull’Unità, si passò definitivamente e direttamente dal basco di Nenni alle mutande di Trussardi: il Partito Socialista si muove sempre più in direzione di una politica che esclude la lotta di classe, avendo compreso l’inefficienza e l’inconsistenza, da un punto di vista elettorale, delle capacità contrattuali della classe operaia italiana.

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Anche l’immagine del partito cambia, e lo fa tramite lo stesso Filippo Panseca. Tra il 30 marzo e il 2 aprile 1978 si svolge il XLI Congresso del Partito Socialista Italiano, il primo (ma non l’ultimo) dove Panseca partecipa come organizzatore progettista, e probabilmente la prima volta al mondo in cui un artista e designer di club e discoteche fa il suo ingresso in un mondo istituzionale come quello politico.

All’alba del congresso, il partito è gestito dal triumvirato Craxi, De Martino e Lombardi. Craxi si occupa dell’organizzazione e chiede a Panseca, conosciuto nel 1968 alla trattoria all’Angolo in via Fiori Chiari a Milano, quando il leader socialista era ancora consigliere comunale, di occuparsi dell’allestimento. Panseca va a Torino, presentandosi davanti allo stato maggiore PSI in divisa militare. Tornato a Milano, elabora in pochi giorni il progetto che riceverà l’approvazione dagli organizzatori del congresso.

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Veduta del congresso di Torino durante il suo svolgimento. Foto tratta da L'arte segna il tempo - Il tempo segna l'arte (pag. 112), per gentile concessione di Alberto Peruzzo Editore.

Craxi non è presente, a causa del sequestro Moro deve recarsi a Roma. Sono momenti concitati, e tra Torino e Roma serpeggiano dubbi sulla fattibilità del Congresso. Si tratta dello stesso congresso in cui viene sancito quello che da allora diventerà il simbolo caratterizzante il PSI: un garofano rosso. Un progetto grafico di identità visiva di Filippo Panseca, nato dalla volontà di prendere le distanze dall’eredità culturale di un emblema come quello della falce e il martello. I socialisti, sosteneva Craxi, avrebbero dovuto differenziarsi dai comunisti anche attraverso un proprio simbolo.

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Di tono completamente differente è l’allestimento, datato 1984, per il XLIII congresso socialista di Verona. Lo spazio congressuale della città veneta si presentava, a dire di Panseca, ridotto, piccolo e completamente anonimo. Panseca qui opta per una soluzione che definisce vicina, da un punto di vista visivo, agli spazi delle discoteche. Ci sono specchi, scritte al neon e un anfiteatro di forma ottagonale. In questo gioco di scambi e rimandi storici con una versione post-moderna del senato romano, le toghe dei nuovi senatori della repubblica non potranno essere altro che gli elegantissimi abiti disegnati da Trussardi.

Arriviamo ora al 1989, al XLV congresso del Partito Socialista Italiano alle ex officine dell’Ansaldo Breda di Milano. È quello che verrà senza dubbio ricordato come il congresso del decennio, con Craxi e tutto il partito al gran completo nella loro città.

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La piramide del XLV congresso del 1989. Foto tratta da L'arte segna il tempo - Il tempo segna l'arte (pag. 215), per gentile concessione di Alberto Peruzzo Editore.

Il grande protagonista del congresso insieme a Craxi—in polemica con l’allora presidente del Consiglio Ciriaco De Mita, accusato di voler sabotare la coalizione pentapartitica al governo per stabilire un’alleanza con il PCI—è l’imperiale scenografia ideata ancora una volta da Panseca. Una piramide, come disse Minoli in una puntata di Mixer del 1989, “dedicata a un Dio minaccioso.“ Probabilmente il riferimento era rivolto a Craxi, il Dio della galassia socialista, ma anche dell’intera scena politica italiana, minaccioso nei confronti di De Mita.

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Siamo di fronte al climax di quella stagione di politica di spettacolo. Il triangolo della piramide, che incornicia il volto dell'immagine del segretario, è alto otto metri ed è interamente costituito di led in quadricromia, importati dal Giappone grazie a un apposito decreto legge varato dall’allora ministro socialista Formica, in numero superiore a quello che la normativa italiana avrebbe allora consentito. Il risultato è un gigantesco schermo televisivo che, da qui a pochi anni si dispiegherà nel sensazionalismo mediatico del futuro presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

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Terminata la dannunziana magniloquenza e decadenza faraonica del Congresso dell’Ansaldo, il partito e Panseca sono già lanciati verso il prossimo grande congresso, quello che nella memoria degli italiani doveva essere il Congresso di Genova, di fatto un party gargantuesco per il centenario del Partito Socialista Italiano. Ma siamo oramai arrivati al ’92, e sui quotidiani appaiono per la prima volta i nomi dei magistrati Di Pietro, Davigo e Colombo. Il resto, come tutti ben sappiamo, è storia; e così la festa si trasforma in una tempesta che di lì a poco avrebbe spazzato via un’intera classe politica.

Fino al 23 febbraio presso la Galleria del Credito Valtellinese a Milano sarà possibile visitare la mostra Reality 80, che ospiterà anche opere di Filippo Panseca.

Niccolò Ornaghi e Francesco Zorzi sono parte del gruppo di architetti, designer e pensatori Raumplan.