Cultura

Ecco perché ci capita di andare in fissa con canzoni di cui nemmeno capiamo le parole

C’è qualcosa di particolare nel fascino delle parole percepite come suoni, qualcosa che va oltre il significato originale.
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT
testi musica
Foto di electravk,Getty Images.

A prescindere dal genere musicale di riferimento e dalla sua declinazione, è del tutto normale ascoltare delle canzoni in una lingua che non parliamo né comprendiamo. Che si tratti di elettronica francese, indie giapponese, K-pop o jazz spagnolo, è persino possibile cantare sulla traccia senza conoscere il significato dei testi.

Pensiamo a “Macarena” dei Los del Río, oppure a “Despacito” di Luis Fonsi feat. A Daddy Yankee, che paradossalmente è stato reso popolare proprio da qualcuno che non parla spagnolo (cioè Justin Bieber). Ovviamente il discorso non riguarda soltanto le persone anglofone, visto che, tanto per fare un esempio, “Sweetest Pie” di Megan Thee Stallion e Dua Lipa continua a scalare le classifiche di tutto il mondo.

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Insomma, a meno che non si cerchi il significato dei testi online, la comprensione stessa non incide in alcun modo sull’apprezzamento della singola canzone. Ma qual è la ragione? “Si tratta di una risposta complicata,” spiega l’etnomusicologa Lisa Decenteceo, che insegna musicologia presso l’università delle Filippine Diliman. Secondo lei, tutto parte da una cosa chiamata “simbolismo del suono.”

Il simbolismo del suono, o fonosimbolismo, è lo studio delle relazioni tra gli enunciati pronunciati e il loro significato—e non è limitato all’ambito musicale. Chi lavora nel marketing, ad esempio, può strategicamente rifarsi a questa disciplina quando deve scegliere o creare nomi di brand accattivanti. Tanto nella musica quanto nei nomi dei marchi, spiega Decenteceo, c’è qualcosa di particolare nel fascino delle parole percepite come suoni, qualcosa che va oltre il significato originale nel linguaggio d’appartenenza.

“Quando ascolti musica in una lingua che non conosci, nella maggior parte dei casi tendi ad apprezzare i testi in quanto suoni, non in quanto parole o significati,” conferma Thea Tolentino, insegnante di musica e studentessa di un master di musicoterapia a Melbourne. La qual cosa potrebbe spiegare perché siamo attirati da una canzone anche senza conoscerne i testi.

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Benché la cultura individuale e le esperienze personali influenzino il modo in cui le persone reagiscono di fronte a musiche diverse, Tolentino afferma che esistono un certo numero di tecniche solitamente usate per esprimere e convogliare un certo tipo di atmosfera e stato d’animo. Una di queste è la scala, una successione graduata di note, toni o intervalli che dividono le ottave.

“Le canzoni in scala maggiore di solito portano con sé dei suoni felici, squillanti, ‘luminosi’, mentre quelle in scala minore solitamente provocano sensazioni più tetre e malinconiche,” specifica Tolentino, aggiungendo poi che il cervello umano è costruito per reagire al suono. In un processo definitosincronizzazione” il cervello “sincronizza il respiro, il movimento e persino le attività neurali [con i suoni che ascoltiamo].”

Questo è il motivo per cui la musica più veloce, frenetica e incalzante è adatta per andare a correre, per esempio, nonché la ragione per la quale alcune persone che praticano yoga utilizzano tracce ritmiche e melodiche durante le lezioni. Per Decenteceo, “la musica fa qualcosa al testo” e ciò può dipendere dal modo in cui le parole vengono cantate o dalla maniera in cui viene usata la voce—per intenderci, c’è differenza “se il cantato è rauco, o acuto e squillante.”

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In più, ci sono altri elementi costituenti che accompagnano e affiancano le parole. “La tonalità, la melodia, l’armonia, il timbro e l’ampiezza hanno un impatto affettivo, emotivo, psicologico, cognitivo e persino fisico sulle persone all’ascolto. La musica aggiunge dimensioni e significato ai testi attraverso l’intricato insieme di queste componenti,” conferma Decenteceo.

Quello che fanno tutti questi elementi, sostiene Decenteceo citando il libro The Sound of Nonsense di Richard Elliott, è liberare le parole. “Le canzoni liberano la voce dall’impiccio di dire alcunché di ‘significativo’,” spiega Decenteceo. Detto in altri termini, cose quali la scala e la melodia si combinano con il suono puro e semplice dei testi per creare significati indipendenti da quelli esposti sul dizionario.

Dunque, diventa essenziale concepire la musica come una specie di conversazione tra i vari elementi musicali. “È l’interdipendenza di questi aspetti musicali, la combinazione di tutti questi elementi che convergono e si uniscono,” ribadisce Decenteceo. “Bisogna quindi ragionare non solo sul testo, ma anche sul modo in cui il testo viene progettato e ‘mappato’ in questa struttura.”

Gli “elementi musicali” in questo caso non riguardano solamente i beat, le armonie, le melodie o i suoni degli strumenti, ma persino il modo stesso in cui la musica viene impacchettata e spedita agli ascoltatori in giro per il mondo. Se i testi sono solo una parte della musica, allora la musica stessa è solo una parte di qualcosa di molto più grande. Per esempio, lo stesso discorso è applicabile all’immagine di un musicista—pensiamo alle star del K-pop—o alle sottoculture di qualche genere musicale—i rave e i festival house. Ogni “elemento” contribuisce a veicolare un significato attraverso la canzone.

Ovviamente, non si tratta di svalutare l’importanza del significato linguistico di un testo. Tolentino specifica che, in musicoterapia, i testi diventano strumenti importanti per aiutare le persone a riconoscere, articolare e riflettere sulle proprie emozioni. Decenteceo aggiunge poi che rimane comunque essenziale prestare attenzione ai messaggi problematici o erronei nei testi delle canzoni.

Tutto considerato, però, Decenteceo sostiene che il fascino immediato esercitato sulle persone dalla musica ha grande valore, a prescindere dal fatto che si capiscano o meno le parole del testo. La musica, in fondo, è un linguaggio universale.

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