Come fanno a piacermi i Baustelle

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Musica

Come fanno a piacermi i Baustelle

L'amore dei fan e la violenza degli hater: vi spiego come ho fatto a diventare la groupie più innamorata di Bianconi.

Confessioni è la rubrica di Noisey in cui scriviamo perché ad alcuni di noi piacciono le cose che non vi piacciono.  Ho un problema nella testa, funziona a metà. Una metà è occupata dai dischi di Morrissey e Metal Carter (ve ne avevo parlato qui), l'altra, dai dischi dei Baustelle. È inutile, quindi, stare lì a spiegare per filo e per segno quanto miserabile sia la mia esistenza.

Il dibattito attorno al nuovo disco dei Baustelle, L'amore e la violenza, uscito pochi giorni fa, è particolarmente vivace e non accenna a placarsi. Le fazioni in lotta sono due: la prima composta da chi li ama, la seconda da chi vorrebbe spaccargli un martello sopra la testa. Entrambe sono particolarmente agguerrite (sui social network, ovviamente) e io perdo pomeriggi interi che dovrei passare a studiare per costruirmi un futuro leggendo strali e frecciatine che i "critici musicali" lanciano agli altri "critici musicali", nel disinteresse più assoluto dei loro contatti, del mondo e, in ultima analisi, dell'universo intero. Faccio una vita al cardiopalma insomma.

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In qualità di "critico musicale" che ascolta musica orrenda, non potevo perdere la preziosa occasione di regalarmi i miei due centesimi sull'argomento. C'è un motivo se conosco a memoria praticamente tutte le interviste rilasciate dai nostri Baustelle, sia cartacee sia televisive. Non che sia qualcosa che mi ricordo di evidenziare nel mio curriculum vitae, ma quando vado dal barbiere gli mostro sempre la foto di Bianconi (ci metto pochissimo a farlo, perché è il mio sfondo del telefono).

Come evidente dal reperto fotografico qui sopra, non mi è ancora chiaro se il mio barbiere a) mi odia b) è incapace c) entrambe. Oppure nel mio albero genealogico ci sono più celenterati che homo sapiens, ma il risultato non cambia: purtroppo io e Bianconi ci assomigliamo moltissimo.

Il motivo per cui sono letteralmente ossessionato dai Baustelle, come l'ultima delle fangirl, è semplice: i Baustelle sono il fenomeno musicale italiano più rilevante da almeno quindici anni (e cioè dallo scioglimento dei C.S.I. in avanti) e se non siete d'accordo mi dispiace per voi e per l'adolescenza di merda che evidentemente avete trascorso perché purtroppo non sono previsti secondi tentativi.

Il sussidiario illustrato della giovinezza, il primo disco dei nostri, prometteva agli ascoltatori un'adolescenza indimenticabile con la regia di Federico Fellini, le musiche di Ennio Morricone (e i Pulp) e la sceneggiatura di Francesco Bianconi - l'unico ticket to ride da esibire al controllore era una copia del disco. Insomma, a una certa età, proprio al giro di boa della mia gioventù, si è verificata una commistione singolare tra l'adolescenza che ho vissuto e quella che avrei voluto vivere; questo disco era il perno attorno al quale questa confusione ruotava. In pratica, per qualche mese ho creduto di vivere in un disco dei Baustelle.

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Immagino che chi abbia passato la soglia dei vent'anni senza avere ascoltato il disco in età adolescenziale non possa comprendere fino in fondo quanto ho scritto, ma per me è stato semplicemente quello giusto al momento giusto. Quando è uscito, nel 2001, io avevo sei anni, proprio la stessa età che aveva MSN Messenger quando l'ho scoperto, nel 2011. Me lo mandò quella che di lì a pochi giorni sarebbe diventata la mia ragazza e fu subito amore, sia per lei che per il disco: la nostra relazione cresceva d'intensità in un climax pari a quello de "La canzone del parco", e la nostra prima volta a casa da soli fu come in "Cinecittà". Mentre scrivo, percepisco chiaramente il mio testosterone che si abbassa e tutti i danni fatti da quel disco alla mia capacità di raccontare la realtà.

Col senno di poi credo che la mia malattia contratta in quel momento fosse di natura irreversibile e degenerativa, perché crescendo sono arrivato ad un punto tale per cui i loro dischi hanno finito per costituire un doppione metaforico della mia identità.

Dopo Il sussidiario illustrato della giovinezza è arrivato La moda del lento, cioè la sua prosecuzione naturale, che ruota attorno all'approssimarsi della fase terminale della giovinezza e il ciclo apertosi con Le vacanze dell'83 non poteva che terminare con uno struggente Arrivederci.

In ogni caso Francesco, mentre io ero impegnato a raccogliere i cocci della mia vita, inizia a stufarsi di essere un epigono di Jarvis Cocker e decide di vestire i panni di un giovane Jacopone da Todi con camicie Ehtro e stivali Gucci verde smeraldo - è l'anno de I mistici dell'Occidente.

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Francesco si trasforma in un profeta alla Nanni Moretti, un po' blasé, che ci racconta in diretta il declino dell'Occidente. Divento immediatamente un suo discepolo e inizio a seguirne le orme, o meglio a seguirlo in tour. La mia follia raggiunse il suo apice qualche anno fa, quando gli tesi un agguato all'ora di colazione dopo aver scoperto di alloggiare nel suo stesso albergo a Sesto Fiorentino: lo aspettai per più di un'ora al buffet e, quando finalmente lo vidi uscire dalla reception mezzo rincoglionito, lo abbracciai. Non chiamò la sicurezza.

Sempre in quel periodo, spesi pomeriggi interi nel disperato tentativo di conoscere il modello preciso degli occhiali indossati da Francesco in quegli anni. Se vi interessa si trattava di un modello introvabile di Giuliano Fujiwara (su eBay non ci sono, ho già controllato. Prego, non c'è di che). In ogni caso, questa trasformazione di Bianconi da eroe del pop a mistico dell'Occidente ricorda molto da vicino quella di Franco Battiato, la cui parabola musicale è molto simile a quella del nostro mio dandy preferito. Per quanto mi riguarda la differenza è che Francesco Bianconi (e qui riceverò una valanga di insulti) è, ovviamente, molto più bravo: laddove Battiato in versione mistica indulge un po' troppo in verbosità, Bianconi sembra utilizzare sempre la tronca perfetta per chiuder le strofe.

Aiutatemi.

Ne L'amore e la violenza, l'idea di pop pedagogico propria di Battiato viene ripresa e declinata in maniera molto personale dal gruppo fiorentino, che omaggia esplicitamente il Maestro in molti pezzi ("Il vangelo di Giovanni" sembra un mashup tra "Up patriots to arms" e "Bandiera bianca"). Più in generale, L'amore e la violenza segna un ritorno alle sonorità synth pop caratterizzanti i primi due dischi del gruppo e ripropone intatta una formula vincente che si colloca a metà tra raffinato manierismo e citazionismo selvaggio, che talvolta lambisce il ladrocinio (e la deflagrazione dei maroni dell'intera redazione di Noisey, NdE)

Vi potrei raccontare tanti altri aneddoti che riguardano i Baustelle (l'ho già detto che sono il mio gruppo italiano preferito?) e parlarvi di quella volta che ad un loro concerto a teatro importunai Niccolò dei Cani seduto sulla poltrona davanti alla mia, ma forse è meglio tenere qualche segreto inedito per per il prossimo articolo - se mai mi daranno il permesso di pubblicarne un altro.

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