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Musica

"Dancing Queen" degli Abba in realtà parla della morte

Pensavi che fosse solo l'unico modo per far ballare la zia sovrappeso al matrimonio? Ti sbagliavi.

Ti ricordi dov'eri quando hai sentito "Dancing Queen" per la prima volta? Con ogni probabilità si trattava di un matrimonio, o un quarantesimo compleanno; avrai avuto cinque anni. Si mescolava nell'aria con le voci gracchianti dei tuoi parenti anziani che ti piovevano addosso dall'alto, mentre tu facevi lo slalom tra le loro grassoccie gambe rosa, davanti alla chiesa. Probabilmente stringevi nel pugno una manciata di Dixi. Indossavi un gilet. È qui che si è installata "Dancing Queen", tra le repliche, Pierce Brosnan, i vecchi Top Of The Pops, la nonna, i buffet, gli album da isola deserta, il CantaTu.

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Questo è un errore. Perché "Dancing Queen" è il disco più triste mai registrato.

Perché il nostro esperimento funzioni, devo chiederti di dimenticare tutto quello che pensi di sapere degli ABBA. Dimentica il cattivo gusto, gli abiti in chintz, l'Eurovision. Siediti nel punto più comodo e silenzioso che riesci a raggiungere in questo momento, e concedi qualche minuto a questo:

Per prima cosa, che disco. Durante una conversazione con THUMP che stupidamente non è mai stata registrata, l'illuminato DJ Harvey ci ha detto che crede che "Dancing Queen" sia la miglior canzone disco di sempre, ed è difficile non concordare. È una canzone di tale qualità, amata da così tanta gente, che è stata quasi schiacciata dal peso della propria fama. Ma ciononostante continua a brillare. Quel glissando iniziale, le piroette infinite e continue nelle tue orecchie. Il beat tiepido—poco più veloce del battito del cuore—, i cori vorticanti e gli archi ascendenti. È perfetta. Ma questo lo sai già.

Il punto di base, quello che importa, è questo: hai passato tutta la vita a credere che "Dancing Queen" sia una canzone che parla di una ragazza diciassettenne che balla. E, fino a un certo punto, lo è. Eppure hai mai pensato al punto di osservazione della canzone?

You are the Dancing Queen, young and sweet, only seventeen
Dancing Queen, feel the beat from the tambourine
You can dance, you can jive, having the time of your life
See that girl, watch that scene, digging the Dancing Queen

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Intendiamoci. Questa canzone parla della regina danzante, ma di sicuro non è cantata da lei. È qui che sta la tragedia. La nostra narratrice si rende conto che non è più la Dancing Queen. Non è più giovane, non è più dolce, non ha più diciassette anni. Ora, invece, resta seduta al bar a guardare; il dancefloor un turbine di fede perduta, ricordi e opportunità mancate. Lei ha avuto diciassette anni, e le è mancata la maturità per rendersi conto che quel momento sarebbe finito.

"Dancing Queen" è una canzone che parla di questa fine. O, perlomeno, dell'avvicinarsi a essa. È una canzone che rispetta la legge del passaggio del tempo, che procede in una sola direzione. Il fatto che un secondo dopo l'attimo più bello della tua vita, quell'attimo è già tanto alle tue spalle quanto lo sarà per sempre. Fanculo il fanciullino interiore, fanculo "hai gli anni che ti senti". Sei giovane una volta sola, succede, e poi incomincia la discesa verso qualcosa di inevitabile e sconosciuto. Naturalmente non voglio dire che scivolare verso l'età adulta non possa essere un'esperienza ricca e generosa. Per molti la gioventù è un procedimento scomodo, pieno di album dei Muse e peli pubici arruffati, e in quanto tale è una cosa che si lasciano volentieri alle spalle. Non c'è nulla di male, lo capisco. Esiste, tuttavia, una grande percentuale di persone che ha senso solo da giovane. Persone che si sentono a casa tra le luci colorate della discoteca. Molti cinici vorrebbero farvi credere che le discoteche siano buone soltanto per rimorchiare, o che chi afferma di amarle stia semplicemente allungando al di là del tempo massimo la pulsione giovanile a negare "il mondo reale". Tristemente, per quanto siano saggi, la verità è che non capiscono il luogo sicuro che molte persone raggiungono uscendo—e quanto si sentano fuori posto una volta che questi giorni felici sono passati. Non appena quel momento finisce—il momento in cui ti senti camminare a un metro da terra, attraverso la fitta, buia promessa della notte—, non appena il sole comincia a sorgere sul resto della loro vita, sono destinati a passare l'eternità a rimuginare su ciò che è finito, o semplicemente a fingere che non lo sia.

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Per ogni persona dal lato peggiore dei trent'anni che alle sei del mattino sta ancora spegnendo le sigarette su un tavolino da caffè, per tutti quelli che hanno passato intere serate ad ascoltare i terribili CD che comprò da adolescente, per ogni schiena dolorante sul bus notturno verso casa: questo è per voi. È di questo che stiamo parlando. Vedere la Dancing Queen inondare di luce la pista, una pista che è stata tua ma che ora cigola sotto il peso di un'altra. È una scena bellissima, certo, ma è anche inequivocabilmente triste. Certo, suona felice, ma è quello il punto. La densa malinconia in ogni accordo di piano, l'inconfodibile e immediatamente canticchiabile ritornello, fanno parte del suo potere. A volte mentre ascolto "Dancing Queen", quando arrivo attorno al minuto 2:57, potrei giurare di sentire qualcuno urlare. Questa non è gioia. È agonia.

Ci sono molte altre occasioni in cui gli ABBA sono stati fottutamente deprimenti. Praticamente hanno fatto un live-blogging dei loro divorzi tramite ballate disco. "Slipping Through My Fingers" fotografa, con efficacia devastante, lo stillicidio di un figlio che invecchia lontano dai propri genitori. "The Day Before You Came" racconta l'esistenza inconsapevole e veniale che precede un incontro che cambia la vita. E "S.O.S."—la preferita di tua zia Maria—narra senza risparmiare sull'orrore quella sensazione di totale incorporeità di quando ti stacchi da qualcuno con cui credevi avresti passato tutta la vita. Praticamente ogni nota che abbiano mai registrato è pregna di malinconia. Intrecciano costantemente la sensibilità pop con una mentalità deviata.

Eppure per quanto mi riguarda, nessuna delle loro hit si avvicina nemmeno lontanamente a "Dancing Queen" per quanto riguarda l'abbandono di ogni speranza. È una canzone che dice che il meglio è passato. Il meglio ora appartiene a qualcun'altra. La cosa migliore che puoi fare adesso è guardare il meglio e ricordarti di quando ce l'avevi tu. È una canzone per il momento in cui il valore dei tuoi ricordi supera il valore delle tue ambizioni. "Dancing Queen", una canzone che oggi è normale sentire preceduta dalle parole "infilate le scarpe da ballo" sbiascicate in un pessimo microfono da un DJ da matrimonio, è una canzone che parla di osservare la festa dall'altro lato del vetro, sapendo che non sarai mai più in lista.

"Dancing Queen" è una canzone che parla della morte.

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