Quando il funk arabo annullava le distanze con l'Occidente
Foto di Fabian Brennecke

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Musica

Quando il funk arabo annullava le distanze con l'Occidente

Negli anni Settanta e Ottanta Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Sudan e Libano furono la culla di un movimento musicale sconnesso che l'etichetta Habibi Funk ha raccontato con la sua nuova compilation.

Il tedesco Jannis Stürtz è un DJ, collezionista di dischi e proprietario di un'etichetta, la Jakarta Records. Nel 2014 fece un viaggio in Marocco con l'idea di setacciare la nazione in cerca di vecchi album su vinile. Capitò in un centro d'assistenza e rivenditore di elettronica di seconda mano, già negozio di dischi, il cui proprietario lavorava un tempo nell'ambito della distribuzione musicale. "Sul retro avevano castaste su cataste di dischi", ricorda oggi Stürtz.

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Mentre spulciava nella pila di dischi polverosi, l'attenzione di Stürtz venne catturata da una traccia di un artista locale, tale Fadoul: si intitolava "Sid Redad" ed era una versione spoglia e cantata in arabo di "Papa's Got a Brand New Bag", celebre inno funk di James Brown. Fu il momento in cui Stürtz prese la decisione di andare più a fondo nel mondo della musica araba degli anni Settanta e Ottanta, quella che andò a mescolare influenze locali a tocchi funk e soul occidentali, e venne registrata da musicisti mezzi sconosciuti e agghindati come se venissero "dalla scena clubbing di Harlem dei Settanta".

La compilation Habibi Funk (che Stürtz ha pubblicato sulla sua etichetta dedicata il 1 dicembre) funge da introduzione a questo micro-genere. "Il termine habibi funk non esiste storicamente, è venuto fuori cinque anni fa. Stavo facendo questi mix dai titoli molto generici, roba tipo Mix Of Arabic Soul, Funk And Jazz Music,” spiega Stürtz dalla sua casa di Berlino. "Qualcuno lasciò sotto un commento parlando di habibi funk, e ci piacque subito molto". Il termine, oggi, è quasi diventato la denominazione ufficiale del genere, a tal punto che viene anche utilizzato su eBay per definire aste su dischi di quel periodo.

"Ci sono stereotipi molto specifici sulle parti costituenti della cultura araba, ma ci sono persone che vogliono cercare una diversa narrazione culturale", aggiunge Stürtz . "Non sto provando a rendere l'habibi funk più grande di quello che è—è un pezzo minuscolo di un grande puzzle—ma voglio provare a presentare una storia che rifugga gli stereotipi".

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Fadoul live/Foto via Habibi Funk

Tra i paesi che compaiono sulla compilation Habibi Funk troviamo tracce provenienti da Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Sudan e Libano che fondono tradizioni locali e contagiosi riff di ottoni e chitarre appoggiati su percussioni sincopate. "Bsslama Hbibti" di Fadoul è un pezzo dalle batterie rauche e dai riff di chitarra ipnotici e oscillanti; "Al Asafir" di Kamal Kelia è funk profondo con un sassofono alla conduzione; "Gawefmes" di Samir & Abboud sembra un classico yacht rock dimenticato e indebitato con gli Steely Dan

Stürtz sostiene che questa fusione sia alla base dell'atmosfera che definisce il progetto Habibi Funk: "È musica prodotta verso la fine degli anni Settanta fino alla metà degli anni Ottanta da musicisti del mondo arabo che provarono a inserire in ciò che facevano influenze esterne alle loro regioni, e crearono così questo suono ibrido. C'è parte dell'esperienza araba nella lingua e nei suoni, ma con interventi—per esempio—di chitarra funk facilmente riconoscibili perché tratti da pezzi occidentali".

Stürtz sostiene che la più grande influenza comune a questa comunità di musicisti sia James Brown, e che il suo equivalente locale fosse Fadoul, che è scomparso nel 1990. Cane sciolto della sua epoca, Fadoul registrava musica e lavorava come attore, passò quattro anni a lavorare come clown in un circo, scrisse un famoso jingle per un succo d'arancia celebre in Marocco, e si cimentò anche con l'hip-hop nei primi anni Ottanta scrivendo rime su groove della band post-punk newyorkese Tom Tom Club.

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"Fadoul" fece musica davvero folle", spiega Stürtz. "Parlava perlopiù di depressione, droghe e alcool. Una delle canzoni che ho scoperto parte da radici funk, ma è suonata in modo così grezzo che arriva quasi a sembrare un pezzo punk rock. Sul sette pollici originale il basso è mixato altissimo, e dopo circa due minuti si abbassa improvvisamente—l'ingegnere del suono se n'era accorto, ed era troppo fatto perché gliene fregasse qualcosa di ricominciare a registrare da capo!"

Al Massrieen/Foto via Habibi Funk

Fadoul scriveva testi che scavavano occasionalmente in argomenti considerati controversi dalla società araba del tempo—le droghe e l'alcool, nello specifico—e quindi, a quanto sostiene Stürtz, essendo un artista underground dovette probabilmente affrontare censura o controversie. "La maggior parte dei paesi compresi nella compilation avevano leggi piuttosto restrittive rispetto a ciò che si poteva e non poteva dire, e quindi molte di queste canzoni vennero registrate in ambienti in cui la libertà di parola era limitata", spiega. "Gli Al Massrieen, una band disco egiziana, avevano un pezzo il cui testo, letto tra le righe, sosteneva il diritto al divorzio per le donne, che all'epoca era proibito. Ed ebbero molti problemi".

Stürtz descrive anche di un'altra strategia anti-censura: l'artista sudanese Kamal Keila scelse di cantare in arabo quando registrava pezzi che parlavano d'amore e argomenti quotidiani, mentre passava all'inglese quando voleva andare più sul politico—come quando parlava di pace tra musulmani e cristiani, e sosteneva la necessità di un Sudan unito. "Fu un modo per avere più libertà e rischiare di meno, dato che non c'erano poi molte persone che potevano capirlo", dice Stürtz.

Molte delle figure coinvolte, inoltre, si trovarono a registrare musica in paesi impegnati in guerre e conflitti. Scrivere canzoni allegre, o d'amore, era quindi un modo per resistere al tumulto che le circondava. Un buon esempio è "Games" di Samir Rafraf e Abboud Saadi, rispettivamente cantante e bassista, un pezzo AOR che compare sulla compilation. Venne registrata al By Pass Studio di Beirut, in Libano, che era gestito da Ziad Rahbani, "una grande figura integrata nella sinistra araba". "È una classica canzone d'amore che parla di una relazione", dice Stürtz, "ma venne registrata nel mezzo della guerra del Libano. Musica come questa era un modo per fuggire dalla dura realtà a cui la nazione era abituata a quei tempi. È un brano politico proprio in quanto completamente apolitico".

Che abbiano creato musica in ambienti devastati dalla guerra, per parlare di tematiche di giustizia sociale o solo per fare un po' di funk, la maggior parte degli artisti presentati da Habibi Funk sono praticamente sconosciuti. Molti hanno registrato e stampato solo un paio di centinaia di copie di qualche singolo in sette pollici. I Dalton, per esempio, erano un gruppo che lavorava come hotel band in un resort sulla costa della Tunisia, e a un certo punto usò i soldi che aveva guadagnato per andare in Italia e registrare "Soul Brother", un funk fumoso e malinconico. Alcune delle tracce della compilation sono diventate pezzi da collezione: l'ultima copia messa in asta di "Argos Farfish" del pioniere jazz sudanese Sharhabeel Ahmed è stata venduta per circa 1300 euro.

Sharhabeel Ahmed/Foto via Habibi Funk

All'altro estremo dello spettro della popolarità c'è Al Massrieen, progetto pensato dal produttore egiziano Hany Shenoda, che aveva trovato la fortuna lavorando per il cantante/attore Mohamed Mounir—i cui dischi, stima Stürtz, avrebbero venduto "milioni di copie su cassetta". Un altro grande successo nell'ordine dei milioni di copie fu Hamid Al-Shaeri, che contribuì alla popolarità del jeel, un sottogenere pop egiziano; il suo biglietto da visita nel mondo del funk è "Ayonha", un pezzo dalle influenze modern soul. Una delle componenti fondamentali dei brani di Habibi Funk è la commistione tra batterie impetuose e giri di fiati e tastiere ipnotici. È un mood che i produttori hip-hop esplorano da decenni nelle loro canzoni, ma Stürtz sostiene che, a quanto sa, l'habibi funk non è ancora stato utilizzato come fonte di campioni. "È tutto ancora troppo sconosciuto", dice, per poi suggerire che sa di "un producer di estrazione araba che potrebbe voler fare un progetto di remix". Restate in ascolto. Segui Noisey su Instagram e Facebook.