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Musica

La guida di Noisey a Roy Orbison, il primo sad boy della musica pop

Prima di Bieber ai VMA e prima di Morrissey, Roy Orbison piangeva più e meglio di chiunque altro.

L'ultima cosa di cui c'è bisogno è un altro editoriale online sulla figura della sad girl nella musica pop. Da Leslie Gore a Lana Del Rey, questo tropo è stato analizzato, dissezionato e spiegato al punto di non poterne più. Quello che si nota sempre di più nel mondo della musica popolare al giorno d'oggi è il sad boy. Permettetemi di spiegarmi: questo va oltre uomini che cantano semplicemente canzoni tristi. Ogni cantante pop deve avere un singolo sentimentale ogni tanto—le canzoni di scuse da un miliardo di dollari di Bieber hanno invaso le classifiche come un geyser di lacrime—, ma questo in sé non è così interessante. Piuttosto, questo rebranding nella direzione di un Bieber più sensibile ed emotivo, che piange sul palco vestito tutto di nero, rappresenta un cambiamento significativo per i principali artisti pop maschi. E lui non è l'unico. Guarda Sam Smith, Ed Sheeran, addirittura Drake (non sarà triste di per sé, ma di sicuro è un piagnone). I ragazzi tristi del pop sono qui per corteggiarti, perderti, e cullarti con la loro voce profonda finché non ritorni tra le loro braccia. Ed è una tendenza in crescita.

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Ma chi è il padrino, il primo sad boy? Puntate le orecchie verso gli anni Sessanta e ricordatevi del signor Roy Orbison. Il cantante texano fu davvero il primo cantante pop maschio a creare un personaggio inestricabilmente legato alla tristezza e allo struggimento. La nascita del rock'n'roll aveva interrotto la lagna di canzoni strappalacrime da adolescenti. Questi pezzi—composti da giovani icone degli anni Cinquanta come le Shangri-Las e Johnny Leyton—avevano testi drammatici e spesso morbosi, come storie di incidenti motociclistici fatali cantati dal punto di vista di amori adolescenziali deceduti. Per contrasto, l'interpretazione di ballate emotive di Orbison era più terra-terra, innegabilmente sincera, e lo faceva spiccare nel mare di tali cliché sentimentali populisti.

Naturalmente Elvis e Sinatra hanno avuto un ruolo fondamentale nella diffusione dello stile da crooner, ma nel loro modo di porsi c'erano una certa sensualità e una certa arroganza. Roy Orbison si esibiva raramente con un'orchestra completa, era quasi sempre da solo, vestito in abito nero, nascosto dagli occhiali da sole, illuminato da un singolo occhio di bue. Il suo candore era incredibilmente sincero e vulnerabile e, mentre suonava alcune delle più tragiche canzoni d'amore mai scritte, la gente cominciò a chiamarlo l'angelo cupo. La sua voce mozzafiato, da opera lirica—una voce che Elvis definì la più bella che avesse mai sentito—comunicava una tenerezza profonda. Nel corso della sua carriera, prima della sua morte prematura, Orbison divenne la pop star più inaspettata della musica, con hit come "Crying", "Only the Lonely" e "It's Over".

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Come la sua musica, anche la vita privata di Orbison fu segnata dalla tragedia. La sua prima moglie Claudette Fraley rimase uccisa in un incidente motociclistico e entrambi i suoi figli morirono mentre lui era ancora vivo. Nel 1988 fu colpito da un fatale attacco di cuore. Una tragica ironia: Roy Orbison venne ucciso dal proprio cuore, a soli cinquantadue anni. Il suo atteggiamento teatrale e le sue ballate piene di dolore cambiarono per sempre il tenore sentimentale del pop e del rock americano, influenzando i musicisti più grandi: in particolare Bruce Springsteen, che nomina l'angelo cupo in diverse delle sue canzoni. Ma ora, analizziamo tutti gli aspetti per cui Roy Orbison è il sad boy americano definitivo.

IL COMPLETO NERO

Roy Orbison non aveva il look degli altri cantanti famosi degli anni Sessanta. Mentre i suoi contemporanei Elvis e Ricky Nelson sfoggiavano costumi sempre più appariscenti, Orbison si limitava a un'uniforme che molti paragonavano a quella di un assicuratore porta a porta che vi promette un affarone dopo la vostra morte. Dai capelli neri perfettamente pettinati ai Ray Ban scuri come la notte, l'austera personalità di Orbison era chiara ancora prima che aprisse bocca. La sua aura di mistero e dolore veniva in parte dai suoi outfit neri dalla testa ai piedi. Vestirsi di nero non era di moda ai tempi (l'unico gotico che esisteva era quello medievale) e sicuramente aveva un ruolo nel suo fascino impenetrabile.

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QUELLA VOCE DEVASTANTE

Quando Elvis Presley ti giudica come "la voce più bella che abbia mai sentito", è un bel colpo. L'inquietudine

causata dal

tono di Orbison si doveva al suo caratteristico vibrato e, si può dire, "ululato". L'effetto emotivo era talmente immediato che era impossibile per l'ascoltatore evitare una sensazione di tristezza e nostalgia.

DA RAGAZZO, ERA DAVVERO PIUTTOSTO TRISTE

Non lasciatevi fregare da quel sorriso. Orbison scrisse la sua prima, desolante ballata, intitolata "A Vow of Love", alla tenera età di otto anni. Ripeto: OTTO anni. Le profondità dello struggimento d'amore sono per lo più sconosciute agli alunni della terza elementare, ma in questo caso non c'è da stupirsi.

NON MOSTRAVA MAI I SUOI OCCHI

La storia ha ascritto gli occhiali di Roy a una scelta estetica, ma in realtà servivano più che altro a uno scopo pratico: Orbison ha sofferto di problemi agli occhi fin da bambino. La leggenda vuole che durante uno dei suoi primi tour, di spalla ai Beatles, Orbison avesse dimenticato gli occhiali da vista sull'aereo e fosse stato costretto a indossare gli occhiali di riserva, neri come la notte, dall'aspetto truce. Non poteva immaginare che sarebbero arrivati a rappresentarlo in maniera definitiva. L'insicurezza rispetto al proprio aspetto giocò sicuramente un ruolo altrettanto importante. Il cantante, sempre pallidissimo, cominciò a tingersi i capelli di nero quando era ancora alle superiori.

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SCRIVEVA ESCLUSIVAMENTE BALLATE

Quando Roy Orbison firmò per Sun Records con la sua prima band, i Teen Kings, era il rockabilly il suono del momento, non le ballate. Persino il leggendario capo dell'etichetta Sam Phillips disse a Orbison che nessuno voleva più ascoltare quelle canzoni d'amore da adolescenti. Ma Orbison insistette, nonostante il parere dell'esperto, e lasciò un segno indelebile nella storia della musica pop americana con quella che forse fu la sua miglior canzone, la hit senza tempo "Only the Lonely".

NON ERA UNA QUESTIONE DI SESSO

Lo stile di Roy Orbison era diametralmente opposto a quello di Elvis the Pelvis. Visto che non era considerato un sex symbol, era improbabile che fosse visto come uno con cui flirtare per una semplice botta e via. Fu la sincerità della musica e della voce di Orbison a renderlo una figura così prominente in un momento e in un luogo in cui era il sesso a vendere (come oggi). Le sue canzoni evocavano un'innocenza vecchio stampo (sogni, balli lenti, lettere d'amore) che doveva risultare piuttosto rassicurante durante l'ascesa della rivoluzione sessuale.

ERA PIÙ TIMIDO CHE MALIZIOSO

L'altra cosa che faceva di Orbison una rockstar tanto improbabile, era la sua timidezza. Non si avvicinava minimamente ai livelli di loquacità del resto della classe del '55 alla Sun Records, quello di essere un solitario era un suo punto d'orgoglio. Le sue hit degli anni Sessanta "Pretty Woman" e "Running Scared" ne sono esempi perfetti. Certo, alla fine conquista la ragazza, ma soltanto dopo estenuanti periodi di desiderio da lontano e insicurezza paralizzante.

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INFINE, UNA DELLE SUE CANZONI PARLA LETTERALMENTE DEL PIANTO

Prima che

la .gif di Bieber che piange ai VMA

invadesse Internet, quel tipo di tristezza ostentata andava bene per gente come Morrissey. Ma prima che gli Smiths trasformassero l'amore in una recita sarcasticamente sdolcinata, ben consapevole della propria stessa ironia, Roy Orbison stabilì che era OK singhiozzare come se nessuno ti stesse guardando (o tutti ti stessero guardando). Senza maschere. Senza premeditazione. Questa canzone parla di pianto (anche l'album da cui è tratta si chiama

Crying

).

Come ho detto, il sad boy commerciale è in crescita. Basta guardare le classifiche: Charlie Puth, Nick Jonas e Shawn Mendes stanno subito dietro Bieber e the Weeknd. Ci sarà sempre posto per le rockstar macho e arroganti nella musica pop, non c'è dubbio. Diamo pure la colpa all'anatomia. Ma continuiamo anche a evolverci verso una società progressista, che accetta e onora la vulnerabilità, per cui fidatevi di me: il sad boy vincerà.

La Universal ha recentemente pubblicato un gigantesco box set di Roy Orbison intitolato The MGM Years. Contiene b-side, rarità, compilation e tracce rimasterizzate, ed è soltanto una delle tante raccolte nella discografia di Roy Orbison. Il suo opus è stato organizzato in svariati volumi che ci danno un'idea della prolifica carriera da cantautore dell'Angelo Cupo.

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