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salute mentale

La mia paura di vomitare: l'incubo di vivere con l'emetofobia

Il solo pensiero che mi occupa la mente quando sono sveglio—e, a volte, anche quando dormo—è: "Oggi vomiterò?" A cui segue l'immediata la risposta: "Sì, vomiterò." Ho 24 anni. In vita mia, ho vomitato solo quattro volte.
Foto via Flickr.

Era la carota che mi faceva incazzare. In mezzo a tutti quei disegnini di frutta e verdura c'era un insegna infantile che diceva, "Aiuta la comunità." C'erano un sacco di altri disegni di bambini appesi al muro, ma la carota era un pugno nello stomaco—aveva una faccia sorridente e mi dava fastidio.

Ero di fronte alla porta di una clinica psichiatrica.

Avevo fatto tutto "per bene" quella mattina, eppure ci avevo messo lo stesso più di un'ora ad arrivare lì, nonostante ci volessero al massimo trenta minuti. Avevo mangiato il mio porridge, insipido e inoffensivo. Avevo riempito la bottiglietta d'acqua. Avevo preparato diligentemente un sacchetto di plastica nel caso mi fossi sentito male, e mangiato la cicca a cui tutti i giorni mi affidavo per eliminare dalla bocca qualsiasi sapore che mi avrebbe potuto far vomitare. Eppure, quando avevo aperto la porta di casa per uscire, ero stato lo investito da quell'ondata di paura che mi era ormai così familiare.

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Da quasi tre anni convivo con una grave forma di emetofobia, ma tra una cosa e l'altra ne soffro da oltre dieci anni. Il solo pensiero che mi occupa la mente quando sono sveglio—e, a volte, anche quando dormo—è: Oggi v omiterò? A cui segue l'immediata la risposta: Sì, vomiterò.

È stata la mia preoccupazione principale per ogni singolo giorno degli ultimi tre anni. Il senso di nausea è reale e disgustoso. Le vampate di calore, i sudori freddi, il tremore sono tutti fattori che indicano che vomiterò.

Ecco, adesso vomito. Lo sento. Non posso farci niente. Ormai ci sono. Vomito. Vomito. Vomito.

Ho 24 anni. In vita mia, ho vomitato solo quattro volte.

Seguo una rigida dieta e ingerisco solo cibi che considero sicuri, perché non voglio correre rischi. Sono fissato con l'igiene, e mi lavo le mani molto più del necessario. Quando i miei coinquilini non sono in casa, uso delle salviette antibatteriche per pulire le maniglie delle porte e i rubinetti. Ogni inverno, quando al telegiornale cominciano i servizi sulla diffusione dei virus intestinali, la mia vita si trasforma in un incubo. Per me, vedere quei servizi è come per una persona normale sentirsi dire, "Ciao! C'è un uomo con un machete nascosto nel tuo giardino, è ricoperto dal sangue delle sue precedenti vittime e indovina un po'? Tu sarai il prossimo!"

Lo so che è strano, e so che è irrazionale. Lo scorso anno ho pensato di uccidermi, perché non riuscivo a convivere con questa paura, oltre che con la nausea. Non ho paura di morire, perché da morto non vomiti. E anche se vomitassi, sarei morto e non dovrei affrontarlo. Avevo pianificato tutto nei minimi dettagli—il pensiero della morte era, e in misura un po' inferiore è ancora, più tollerabile del pensiero del vomito. Se sono sopravvissuto a quel periodo è stato solo grazie a un gruppo di amici, terapisti e psichiatri incredibili.

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È stato a quel punto che il mio cervello ha deciso di prendersi una pausa. Ho scoperto che il mio cervello ha due sole modalità: continuamente operativo oppure completamente spento. A quanto pare, non riusciva a reggere tutte queste cazzate sulla fobia del vomito e ha deciso di prendersi una vacanza, da solo. Ho iniziato a soffrire di depersonalizzazione.

Andavo in giro come fossi un alieno, vedevo gli altri ma non riuscivo a interagirci. Facevo fatica a sostenere anche una semplice conversazione e a guardare le altre persone negli occhi. Mi ricordo che una volta, camminando nel corridoio di un supermercato, mi sono ritrovato a pensare che nulla di ciò che mi circondava fosse reale e che io stesso non fossi una persona. Non era la prima volta che mi capitava di soffrire di depersonalizzazione, ma se fino a quel momento i miei episodi dissociativi non erano durati che qualche minuto, in questo caso era persistente. Alla fine mi è stata diagnosticata una specie di depressione, ma non ero tanto convinto della diagnosi. Non passavo le giornate a letto a piangere—perché per me, ingenuamente, depressione voleva dire questo. Non ero triste. Non sentivo niente. Niente di niente. Eppure, anche nei momenti di depressione più acuta, la paura e la sensazione di vomitare non mi abbandonavano mai. Il pericolo mi sembrava sempre molto reale.

Dopo questo episodio mi ci sono voluti diversi mesi per decidermi ad assumere degli antidepressivi. Ho passato mesi sdraiato a letto, senza riuscire a muovermi di un centimetro per paura di vomitare. Piangevo in silenzio immaginando che dopo aver preso le medicine avrei vomitato. Ironia della sorte, tra gli effetti collaterali più comuni degli antidepressivi che mi erano stati prescritti c'era anche la nausea. Dopo aver preso la prima pillola ho passato tutta la notte chiuso in camera, a tremare e a piangere—al buio, per paura che le luci potessero peggiorare la nausea che provavo—cercando di convincere il mio corpo a non arrendersi.

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In quei momenti, quando provo a spiegarmi, succede tutto alla velocità della luce. Dico che non posso mangiare fuori, che limito il cibo, che non vado più in giro, che la mia vita è stata completamente distrutta da quella ossessione. Mentre mi sfogo, i miei occhi rimangono fissi sull'uscita, mi sorprendo a valutare se sia meglio vomitare dove mi trovo, in bagno oppure fuori. Probabilmente non farei in tempo a uscire, ma rimanendo dentro le altre persone mi vedrebbero vomitare. Ognuna delle possibilità è terribile. Mentre la mente corre, continuo disperato a raccontare dei miei attacchi di panico, sperando in qualche modo che raccontandolo mi passi la paura, che spiegandomi sembri meno pazzo. Poi, appena il panico si affievolisce, subentra il rimorso per avere parlato a qualcuno della mia fobia.

Viaggiare è particolarmente difficile. Ci metto il doppio del tempo per arrivare ovunque, perché devo lottare costantemente con il desiderio di correre a casa in caso la nausea sia un segnale del vomito. Portarmi a mangiare al ristorante è come chiedermi di camminare su una corda sospesa su una piscina di squali. Ho smesso di bere alcol e la sera non esco. Scendo dall'autobus sempre prima della mia fermata, prendo sempre le strade più lunghe per evitare di incontrare altre persone—per paura di vomitare davanti a loro o che loro vomitino davanti a me—e faccio cose che le persone che non sanno della mia fobia considerano semplicemente strane.

Così facendo, mi sono perso un sacco di momenti ed eventi importanti. Ma almeno adesso il mio cervello è "tornato." Mi sono stati prescritti dei nuovi antidepressivi, che aiutano a prevenire la nausea e a dormire, quindi ora durante la notte mi sveglio solo una e due volte a settimana con la paura di vomitare. Prendo le medicine da quasi un anno ormai, e anche se ogni tanto mi sento intrappolato nei miei pensieri, almeno mi sento vivo. Per me, è un miglioramento.

Adesso ho iniziato una terapia per curare questa fobia del vomito. Adesso posso guardare immagini o video di persone che vomitano senza saltare sulla sedia o tentare di buttarmi dalla finestra. Non penso di essere in grado di stare vicino a qualcuno che vomita, ma penso che un giorno ce la farò. Continuo ad avere la nausea tutti i giorni, ma riesco a gestirla. Piano piano, mi sembra di vedere la luce in fondo al tunnel.

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